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Santi del 16 Novembre

Il mio Santo > I Santi di Novembre

*Sant'Agnese di Assisi (16 novembre)  

Assisi 1197 - Assisi 1253
Tra le primissime discepole di Santa Chiara, ad Assisi, ci fu la sorella minore Agnese.
Aveva appena quindici anni quando nel 1212, a pochi giorni dall'apertura, bussò alla porta del conventino di San Damiano che Francesco aveva designato come casa del second'ordine.
La leggenda narra dello scalpore suscitato ad Assisi dalla scelta delle due sorelle.
La stessa famiglia inizialmente si oppose.
Ma poi finì che anche una terza sorella, Beatrice, e la stessa madre, Ortolana, seguirono Chiara.
Troppo forte era, dunque, il fascino del rinnovamento spirituale che da Assisi stava iniziando a diffondersi al mondo.
E proprio Agnese fu scelta nel 1219 dalla sorella Chiara per andare a fondare il secondo monastero delle clarisse, quello di Monticelli a Firenze.
Qui visse in estrema povertà fino al 1253 quando già ormai malata, per suo desiderio venne ricondotta a San Damiano, dove morì.
Chiara si era spenta appena tre mesi prima.
(Avvenire)
Etimologia: Agnese = pura, casta, dal greco
Martirologio Romano: Ad Assisi in Umbria nel convento di San Damiano, Santa Agnese, vergine, che, seguendo nel fiore della giovinezza le orme di sua sorella Santa Chiara, abbracciò con tutto il cuore la povertà sotto la guida di San Francesco.
Nel coro del poverissimo conventino di San Damiano, presso Assisi, si possono ancora leggere i nomi delle prime compagne che seguirono Santa Chiara e l'esempio di San Francesco sulla via della totale rinunzia e dell'assoluta povertà.
Sono nomi molto belli, di donne e fanciulle di Assisi, che si direbbero quasi simbolici di quelle " colombe deargentate " che a San Damiano ebbero il primo nido: Ortolana, Agnese, Beatrice,
Pacifica, Benvenuta, Cristiana, Amata, Illuminata, Consolata...
I primi tre nomi appartengono a tre donne della stessa famiglia di Santa Chiara: quello di Ortolana alla madre; quelli di Agnese e di Beatrice a due sorelle.
Agnese era la sorella minore di Chiara, e giunse a San Damiano sedici giorni dopo che Francesco, nel 1212, aveva assegnato alla sorella maggiore l'umilissimo conventino come luogo di penitenza e primo nucleo dei Secondo Ordine francescano.
Poco dopo vi giunse l'altra sorella, Beatrice, e poco dopo ancora la madre, Ortolana.
Agnese di Assisi fu così la più fedele seguace della sorella Chiara, che fu a sua volta la seguace più fedele di San Francesco. Visse nell'ombra luminosa della sorella, assoggettandosi dolcemente al suo dolce comando, sempre obbediente e sempre affettuosa.
Già il suo nome di Agnese, derivato da quello di agnus, agnello, e portato da migliaia di donne e da molte Sante, dopo l'antica Martire romana, ce la dipinge mite e mansueta, senza però farci dimenticare che anche a lei, come alla sorella maggiore, va attribuita una fermezza di carattere eccezionale e quasi virile, soprattutto nell'osservanza più rigorosa della Regola francescana nella sua più assoluta durezza.
La leggenda ha insistito, con abbondanza di particolari, sui contrasti tra la decisione delle due fanciulle, Chiara e Agnese, e quella della famiglia, che non voleva permettere il loro abbandono del mondo e quale abbandono!
Certo è che il fatto dovette suscitare un enorme scandalo nella buona società di Assisi, soprattutto perché le due sorelle non cedettero ad insistenze né a violenze, e restarono a San Damiano, seguite anzi dall'altra sorella e dalla Madre.
Veramente, Agnese non vi restò a lungo. Per quanto straziata dal distacco (ci è restata, per quanto di dubbia autenticità, una sua commoventissima lettera di commiato), obbedì alla sorella come sempre le avrebbe obbedito, per recarsi a Firenze, nel 1219, a fondarvi il secondo convento delle Clarisse, quello di Monticelli.
A Monticelli, Agnese fu superiora degna del proprio nome e della propria famiglia, affettuosa con le sue Clarisse e caritatevole verso il prossimo quanto era inflessibile verso se stessa, tenacemente attaccata ai voti francescani, soprattutto a quello dell'assoluta povertà. Visse - di pane e di acqua, con un rude cilicio intorno ai teneri fianchi - fino al 1253, quando morì a San Damiano, secondo il suo vivissimo desiderio, tre mesi dopo la sorella Chiara. Aveva cinquantasei anni, essendo appena quindicenne quando si era fatta tagliare i lunghi capelli di avvenente fanciulla assisiate.
La data di culto per la Chiesa universale è il 16 novembre, mentre l'ordine francescano, le Clarisse e la città di Assisi la ricordano il 19 novembre.
(Fonte: Archivio Parrocchia)

Giaculatoria - Sant'Agnese di Assisi, pregate per noi.

*Santi Agostino e Felicita - Martiri (16 novembre)  

Martirologio Romano: A Capua in Campania, Santi Agostino e Felicita, martiri, che si tramanda abbiano subito il martirio sotto l’imperatore Decio.
Sebbene non si conoscano notizie dettagliate e sicure sul loro martirio, tuttavia la storicità di esso è attestata e garantita da numerose fonti.
Parecchi codici del Martirologio Geronimiano li ricordano il 16 o il 17 novembre; i loro ritratti comparivano nella serie musiva di Santi che adornava anticamente la chiesa di San Prisco a Capua; un cimitero cristiano (forse del sec. IV) lungo la via Appia nei pressi di Capua, era denominato da Agostino.
Il tempo del loro martirio, se è attendibile la notizia della Cronachetta del 395, sarebbe da porsi verso la metà del sec. III, poiché in tale testo si dice che San Cipriano avrebbe loro scritto una lettera e che i due martiri sarebbero periti al tempo di Decio, anche se poi vi si specifica l'anno 260, nel quale già regnava Gallieno.
In documenti dei secc. VIII-IX (Sacramentari e Calendari) si dice che Agostino sarebbe stato vescovo della città e Felicita sua madre, e si aggiunge che i loro corpi furono trasferiti a Benevento.
Nelle fonti antiche però non è specificata la dignità di Agostino, né la sua parentela con Felicita.
In conclusione si può con certezza ritenere che Agostino e Felicita sono due martiri autentici di Capua, anche se poco conosciuti.
(Autore: Jaroslav Polc – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santi Agostino e Felicita, pregate per noi.

*Sant'Aniano di Asti - Vescovo (16 novembre)  

V secolo
Etimologia: Aniano = primogenito, dall’antico celtico
Emblema: Bastone pastorale
Assai controverso dal punto di vista storico è il caso di Sant’Aniano di Asti, oggi festeggiato. Tra gli studiosi non c’è accordo: il Brizio lo vuole soldato martire della Legione Tebea, il Bettocchi lo ritiene un martire locale dei primissimi tempi del cristianesimo, il Massa lo
considera il settimo vescovo di Tortona per 30 anni e martirizzato verso il 285, altri infine lo identificano con Sant’Aniano vescovo di Orléans nel IV secolo (festeggiato al 17 novembre).
Una cosa pare certa: verso l’anno Mille nella cappella del Castel Vecchio di Asti era custodito “il venerabile suo corpo”, come scriveva in quegli anni il vescovo artigiano Alrico e come fu confermato anche dal suo successore Oberto III nel XIII secolo.
Le reliquie del Santo furono trasferite nel 1567 dal vescovo Capris, presente il duca sabaudo Emanuele Filiberto, dal castello alla chiesa di San Sisto. Inseguito furono poi traslate nel duomo cittadino.
Il calendario liturgico della Regione Pastorale Piemontese ricorda Sant’Aniano di Asti quale vescovo nel V secolo e riporta al 16 novembre il suo “culto locale” riservato alla Cattedrale di Asti.
Sino a qualche tempo fa, però, tale calendario liturgico lo commemorava sempre in tale data, ma in compagnia anche del Santo vescovo Anastasio e della santa martire Eulalia, le cui commemorazioni sono state separate e trasferite in altre date.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Aniano di Asti, pregate per noi.

*Sant'Edmondo Rich - Arcivescovo di Canterbury (16 novembre)  
Martirologio Romano:

Presso la cittadina di Provins in Francia, transito di Sant’Edmondo Rich, Vescovo di Canterbury, che, colpito dall’esilio per aver difeso la Chiesa, morì vivendo santamente tra i monaci cistercensi di Pontigny.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Edmondo Rich, pregate per noi.

*Beato Edoardo Osbaldeston - Martire (16 novembre)  
Martirologio Romano:
A York in Inghilterra, beato Edoardo Osbaldeston, sacerdote di Lancaster e martire, che, allievo del Collegio Inglese di Reims, condannato a morte sotto la regina Elisabetta I per essere entrato da sacerdote in Inghilterra, morì impiccato.
(Fonte:
Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Edoardo Osbaldeston, pregate per noi.

*Sant'Elpidio, Marcello, Eustochio e Compagni - Martiri (16 novembre)  

Al tempo dell'imperatore Giuliano l'Apostata, dopo aver subito vari tormenti furono condannati al fuoco e martirizzati il 26 settembre. Vennero sepolti in una tomba sul Monte Carmelo. Sono commemorati il 16 novembre.
Sono commemorati nel Martirologio Romano il 16 novembre, introdottivi dal Baronio sull'autorità del Sinassario Costantinopolitano che li ricorda il 15 novembre. Ivi è sunteggiata una passio, oggi perduta, ma che si rivela abbastanza leggendaria.
Al tempo dell'imperatore Giuliano l'Apostata, dopo aver subito una serie di tormenti, essi furono condannati al fuoco e, morti il 26 settembre, vennero sepolti in una tomba sul monte Carmelo.
In seguito ad un terremoto, Elpidio risuscitò e, presentatosi all'imperatore, sopportò altri tormenti finché non morì un'altra volta per mezzo del fuoco.
(Autore: Agostino Amore - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Elpidio, Marcello, Eustochio e Compagni, pregate per noi.

*Sant'Eucherio di Lione - Vescovo (16 novembre)  
Martirologio Romano:

A Lione sempre in Francia, Sant’Eucherio, che, senatore anch’egli, insieme alla sua famiglia si diede dapprima alla vita ascetica nella vicina isola di Lérins e poi, eletto vescovo di Lione, scrisse numerose Passioni di Santi Martiri.
Eucherio apparteneva a una famiglia lionese di alto rango e ricevette una formazione letteraria accurata.
Divenuto senatore e sposatosi con Galla, ebbe due figli, Verano, che sarebbe divenuto vescovo di Vence, e Salonio, più tardi vescovo di Ginevra.
Tutti e due furono educati nel monastero di Lérins da Ilario, il futuro arcivescovo di Arles. Gli è pure attribuita una figlia, Consorzia.
Verso il 422 Eucherio, col consenso della sua sposa, si ritirò nel monastero di Lérins, poi nella vicina isola di Santa Margherita, dove menò vita eremitica.
Cassiano gli dedicò il prologo delle sue ultime sette conferenze e lui stesso mostrò allora una certa attività letteraria.
Gli si attribuiscono molte opere, ma per la maggior parte sono riconosciute apocrife dalla critica moderna.
Possono essere considerate come autentiche, oltre le lettere, il Liber formularum spiritualis intelligentiae, le Instructionum libri duo, le omelie sui martiri lionesi Epipodio e Alessandro e la Passio Acaunensium Martyrum.
Verso il 435 fu portato al seggio episcopale di Lione, dove esplicò una grande attività pastorale.
Nel 441 assistette al primo concilio di Orange. Nel 449 Poleminus Silvius gli dedicò un suo Laterculus. Morì quell’anno.
È iscritto al 16 novembre nel Martirologio Geronimiano e nel Romano.
(Autore: Jean Marilier - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Eucherio di Lione, pregate per noi.

*Santa Geltrude (Gertrude) la Grande - Vergine (16 novembre)  

Eisleben (Germania), ca. 1256 - Monastero di Helfta (Germania), 1302
Geltrude, detta la grande, entrò nel monastero cistercense di Helfta.
Donna di profonda cultura anche profana, alimentò la sua vita spirituale nella liturgia specialmente eucaristica, nella Scrittura e nei Padri.
Ebbe un'elevata esperienza mistica, caratterizzata dal vivo senso della libertà dei figli di Dio e da una tenera devozione all'umanità di Cristo.
Precorse il culto al Cuore di Gesù. (Mess. Rom.)
Etimologia: Geltrude = la vergine della lancia, dal tedesco
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: Santa Geltrude, detta Magna, vergine, che, fin dall’infanzia si dedicò con grande impegno e ardore alla solitudine e agli studi letterari e, convertitasi totalmente a Dio, entrò nel monastero cistercense di Helfta vicino a Eisleben in Germania, dove percorse mirabilmente la via della perfezione, consacrandosi alla preghiera e alla contemplazione di Cristo crocifisso.
Il suo transito si celebra domani.
(17 novembre: A Helfta vicino a Eisleben nella Sassonia in Germania, anniversario della morte di santa Geltrude, vergine, la cui memoria si celebra il giorno precedente a questo).
Invece delle origini familiari, conosciamo le sue passioni giovanili: letteratura, musica e canto, arte della miniatura.
Per una ragazza del suo tempo, queste non sono cose tanto comuni.
Gertrude, infatti, ha fatto i suoi studi, ed è certo quindi che veniva da una famiglia benestante.
Ma non era figlia di nobili, come hanno scritto alcuni, confondendola con un’altra Gertrude.
Comunque, già all’età di cinque anni, la sua famiglia la mette a scuola nel monastero di Helfta, in Sassonia, che all’epoca segue le consuetudini cistercensi.
E qui Gertrude trova la grande Matilde di Magdeburgo, maestra di spiritualità e anche di bello scrivere: la narrazione delle sue esperienze mistiche, Lux divinitatis, costituisce un elegante testo poetico.
Matilde è il personaggio decisivo nella vita interiore di molte giovani che l’avvicinano, maestra di una spiritualità fortemente attratta dal richiamo mistico.
A questa scuola cresce Gertrude, che tuttavia non sembra percorrere tranquillamente la frequente trafila alunna-postulante-monaca.
Alcune fonti, addirittura, le attribuiscono momenti di vita “dissipata”.
Però a 26 anni diventa un’altra; o, come dirà successivamente lei stessa: il Signore, "più lucente di tutta la luce, più profondo di ogni segreto, cominciò dolcemente a placare quei turbamenti che aveva acceso nel mio cuore".
Una mutazione che sorprende molti, e che lei stessa attribuisce a una visione, seguita poi da altri fenomeni eccezionali come visioni, estasi, stigmate.
E in aggiunta vengono a tormentarla le malattie.
Ma accade a lei come ad altre donne e uomini misteriosamente “visitati” che l’infermità fisica, invece di fiaccarli, li stimola.
Gertrude vorrebbe vivere in solitudine questa avventura dello spirito, ma non sempre può: le voci corrono, arriva al monastero gente per confidarsi, per interrogarla, anche semplicemente per vederla.
E questa contemplativa malata ha momenti di stupefacente attivismo, nel contatto con le persone e nell’impegno di divulgatrice del culto per l’umanità di Gesù Cristo, tradotta nell’immagine popolarissima del Sacro Cuore.
Accoglie tanti disorientati e cerca di aiutarli. Per raggiungerne altri scrive, sull’esempio di Matilde, e lo fa con l’eleganza che è frutto dei suoi studi.
Quell’impegno di adolescente e di giovane nelle discipline scolastiche l’ha preparata a essere “apostolo” nel modo richiesto dai suoi tempi.
E anche precorritrice di Teresa d’Avila e di Margherita Maria Alacoque.
La fama di santità l’accompagna già da viva, e dura nel tempo, anche se ci vorrà qualche secolo per il riconoscimento ufficiale del suo culto nella Chiesa universale.
Ma per chi l’ha conosciuta e ascoltata, Gertrude è già santa al momento della morte nel monastero di Helfta, all’età di circa 46 anni.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Geltrude la grande, pregate per noi.

*San Gherardo di Serradeconti - Monaco Camaldolese (16 novembre)  
Sec. XIV
Beati Alberto e Gherardo

Uno dei più importanti monumenti della cittadina di Sassoferrato, nelle Marche, in provincia di Ancona (ma più vicina all'Appennino che non al mare Adriatico), è la chiesa di Santa Croce, prossima al quartiere Borgo.
Presso Sassoferrato sorgeva un tempo la città umbra di Sentinum, che Ottaviano Augusto assediò invano, e venne poi conquistata di sorpresa e distrutta. La chiesa medievale di Santa Croce venne in parte costruita con materiali provenienti dalla distrutta Sentinum. e oltre a
questa curiosità di carattere archeologico, costituisce un edificio di solenne bellezza, con la sua struttura a tre navate, con tre absidi, più due sui fianchi.
Edificata a partire dal XII secolo, è di stile romanico con influssi lombardi, di un tipo abbastanza frequente nelle antiche città marchigiane.
E nella chiesa di Santa Croce, presso Sassoferrato, è sepolto il corpo del Beato Alberto, la cui immagine è rappresentata in alcune opere d'arte conservate in questa stessa chiesa, sull'altare del Beato e sull'altar maggiore.
Il Beato Alberto fu monaco nel convento esistente presso la chiesa, e morì nel 1350. Viene considerato come appartenente alla famigli dei Camaldolesi, perché in seguito la chiesa e il monastero di Santa Croce vennero occupati dai monaci di San Romualdo.
Ma ciò avvenne alcuni anni dopo la morte del nostro Beato, e quindi non possiamo dire con sicurezza a quale ramo dell'Ordine benedettino appartenne il monaco Alberto.
Il suo culto, approvato nel secolo scorso, fu assai vivace nella zona di Sassoferrato. Tra l'altro egli venne invocato - non sappiamo a quale titolo - contro i mali di testa e il mal di stomaco, e data la frequenza di questi penosi disturbi, è facile immaginare come il nome di un Beato capace di alleviarli potesse facilmente diventare popolare, almeno nella regione nella quale è circoscritto il suo culto! Insieme con il Beato Alberto, viene ricordato anche il Beato Gherardo, suo confratello, morto nel 1367 alla bella età di ottantasette anni.
Anche egli era marchigiano, non però di Sassoferrato. Visse nella non lontana Serra de' Conti, dove ebbe cura d'anime e dove temperò la propria anima con i rigori della vita eremitica.
Le sue spoglie furono riposte e venerate nella chiesa romanica detta de "Le Mòje", altra bella costruzione medievale assai simile a Santa Croce di Sassoferrato, riportata non molti anni fa alle linee originarie.
Anche il Beato Gherardo di Serra de' Conti viene onorato nell'Ordine di Camaldoli, e non sappiamo quali motivi abbiano condotto a far memoria comune di lui insieme con il Beato Alberto, suo confratello.
0 forse i motivi sono facilmente intuibili dalla comunanza di epoca, di condizione, di intenti; dall'appartenenza a una stessa terra, opima di frutti spirituali, e finalmente dal fatto che il nome e il culto del Beato Alberto, come quello del Beato Gherardo, siano restati legati a due monumenti simili, e ambedue belli, a Sassoferrato e a Serra de' Conti.
(Fonte: Archivio Parrocchia)

Giaculatoria - San Gherardo di Serradeconti, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Marxen - Sacerdote e Martire (16 novembre)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
Beati Martiri Albanesi (Vincenzo Prennushi e 37 compagni) (5 novembre)

Worrigen, Germania, 5 agosto 1906 – Tirana, Albania, 16 novembre 1946
Don Josef Marxen, di nazionalità tedesca, si mise al servizio della Chiesa di Albania, incardinato nella diocesi di Durazzo. Per le sue origini, fu presto visto come un nemico dalla propaganda del regime comunista. Fu arrestato due volte, ma la prima venne liberato grazie all’intervento dei suoi parrocchiani.
La seconda volta, invece, venne condannato a due anni di carcere. Tuttavia, la notte del 16 novembre 1946, venne prelevato dalla sua cella e fucilato in una foresta; aveva 45 anni. Compreso nell’elenco dei 38 martiri albanesi capeggiati da monsignor Vinçenc Prennushi, è stato beatificato a Scutari il 5 novembre 2016.
Josef Marxen (al Battesimo, Anton Josef) nacque il 5 agosto 1906 a Worringen, in Germania, quarto dei nove figli di Nikolaus e Maria Marxen. Insieme alla famiglia, ebbe vari spostamenti a Grevenbroich, Bermeshausen e Zemmer.
Nel 1928 Josef entrò nel noviziato dei padri Verbiti a St. Augustin e frequentò nel frattempo l’università di San Gabriele a Mödling presso Vienna. All’incirca nel 1935 lasciò i Verbiti e proseguì la formazione come sacerdote diocesano. Fu quindi ordinato diacono il 3 agosto 1936 a Monaco di Baviera, dove, il 21 giugno 1936, venne anche consacrato sacerdote. Celebrò la prima Messa il 5 luglio seguente, a Breyell.
Nel mese di agosto partì per l’Albania, passando per Roma e imbarcandosi a Bari; il 5 settembre arrivò al porto di Durazzo. Non aveva affatto conoscenze linguistiche, ma era molto più preparato sul piano medico.
Iniziò dunque il suo ministero a servizio della diocesi di Durazzo, prima a Kthellë poi a Perlat, entrambi villaggi del distretto di Mirdita, nel nord dell’Albania. Gli abitanti di Perlat, cattolici da sempre, a distanza di anni ricordavano ancora come un giorno, dopo la Messa, invitò l’intera comunità a casa sua. Un’altra volta, regalò un pallone vero ai bambini, che così poterono giocare a calcio.
Don Zef, come fu ben presto soprannominato, costruì anche una scuola e si adoperò in molti casi come pacificatore delle contese familiari, regolate dall’antica legge del Kanun. Andava di casa in casa prevalentemente a piedi, assistendo i moribondi e curando gli ammalati.
Dal 1942 fu parroco a Jube, vicino a Durazzo. Con la presa di potere da parte dei comunisti, tuttavia, il suo operato cominciò a essere visto con sospetto: era tedesco d’origine e si era formato in Europa, quindi costituiva una vera minaccia per il nascente regime.
Il 2 marzo 1945 venne arrestato a Durazzo e condotto in prigione a Tirana. Il 27 aprile gli anziani del suo villaggio scrissero una lettera per domandare la sua liberazione: «Noi dichiariamo che è stato un valido aiuto per tutti, senza distinzione di religione.
Ci ha aiutato con tutti i suoi poteri, per salvare molte persone prima di essere colpito, e attraverso la sua mediazione ha interrotto saccheggi, incendi e altri danni».
Don Zef venne loro restituito, ma dopo un paio di settimane fu arrestato di nuovo. Dopo mesi di torture, venne condannato a due anni di prigione.
In realtà, nella notte del 16 novembre 1946, venne prelevato dalla sua cella insieme ad altri due detenuti per essere fucilato. Poco prima aveva lasciato il suo ultimo messaggio a un compagno di prigionia: «Sono felice perché morirò con il ricordo incancellabile di avere celebrato in nome di Cristo delle Messe per gli albanesi».
Compreso nell’elenco dei 38 martiri albanesi capeggiati da monsignor Vinçenc Prennushi, don Josef Marxen è stato beatificato a Scutari il 5 novembre 2016.
Dello stesso gruppo fanno parte altri venti sacerdoti diocesani, tra i quali un altro tedesco diventato albanese d’adozione, don Alfons Tracki.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Marxen, pregate per noi.

*San Giuseppe Moscati - Laico (16 novembre e 12 Aprile)

Benevento, 25 luglio 1880 - Napoli, 12 aprile 1927
Nato a Benevento da una nobile famiglia il 25 luglio 1880 seguì il padre, magistrato, prima ad Ancona e, dal 1988, a Napoli.
Laureatosi in medicina a pieni voti nel 1903, cominciò la carriera medica nell'ospedale partenopeo degli Incurabili.
Fu un medico generoso e si dedicò all'insegnamento e alla ricerca, partecipando a molti congressi scientifici in qualità di relatore.
Salvò miracolosamente alcuni malati durante l'eruzione del Vesuvio del 1906; nel 1921, quando Napoli fu infestata dal colera, si segnalò, come primario degli Ospedali Riuniti, per l'efficacia e l'abnegazione che profuse nelle cure dei contagiati.
Morì improvvisamente il 12 aprile 1927, a soli 47 anni.
È stato beatificato nel 1975 da Papa Paolo VI. Giovanni Paolo II lo ha dichiarato santo il 25 ottobre 1987. (Avvenire)
Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico
Martirologio Romano: A Napoli, San Giuseppe Moscati, che, medico, mai venne meno al suo servizio di quotidiana e infaticabile opera di assistenza ai malati, per la quale non chiedeva alcun compenso ai più poveri, e nel prendersi cura dei corpi accudiva al tempo stesso con grande amore anche le anime.
San Giuseppe Moscati nacque a Benevento il 25 luglio 1880 da nobile famiglia. Seguendo gli spostamenti del padre, di professione magistrato, visse per alcuni anni ad Ancona e poi, dal 1888, a Napoli.
Studiò presso il liceo “Vittorio Emanuele”, successivamente, nel 1897, iniziava gli studi universitari presso la facoltà di medicina.
Il 4 agosto 1903 conseguì la laurea con pieni voti e con diritto alla pubblicazione della tesi.
Cominciò la carriera ospedaliera nell’Ospedale degli Incurabili a Napoli presentandosi, sin da allora modello integerrimo di medico cosciente del suo dovere professionale e della sua missione sublime accanto alla sofferenza umana.
Si dedicò contemporaneamente all’insegnamento, divenendo assistente ordinario nell’istituto di Chimica Fisiologica nel 1908, conseguendo la libera docenza nel 1911.
Iniziò così un’intesa attività scientifica e cattedratica, con l’insegnamento di “Indagini di laboratorio applicati alla chimica” e di “Chimica applicata alla medicina”.
Vince il concorso di Primario negli Ospedali Riuniti di Napoli, mentre nel 1922 consegue una seconda libera docenza in Clinica Medica Generale.
Durante tutti gli anni che vanno dal 1903 alla sua morte (1927), Giuseppe Moscati dedicò tutto se stesso alla ricerca scientifica con numerose relazioni a Congressi scientifici in Italia e all’estero, contemporaneamente si dedicava, con grande generosità e con nobile carità, al servizio ospedaliero nell’assistenza gratuita dei malati più bisognosi.
Uomo di fede e di preghiera, morì improvvisamente, lasciando grande rimpianto tra il popolo, il 12 aprile 1927.
La sua memoria liturgica si celebra nel giorno della morte.
Cosa dire di questo Beato?
Crediamo sia importante ricordare che è un laico, una figura di cristiano impegnato, che come i Santi e i Beati nel 1975, esprime la radicalità di vita di fede, che è luogo della santificazione.
Abbiamo detto un cristiano impegnato, uomo di fede, di scienza e di carità. Anche questa volta i due pilastri sono l’amore a Dio e l’amore al prossimo, che per il Beato Moscati vuol dire ricerca del bene per l’uomo anche nella sua professionalità.
Altro elemento che colpisce di questo “medico santo” è il fatto che è "quasi a noi contemporaneo", così infatti dirà Paolo VI nella sua omelia; ma ascoltiamola nei suoi tratti essenziali: "Chi è colui, che viene proposto oggi all’imitazione e alla venerazione di tutti? È un Laico, che ha fatto della vita una missione percorsa con autenticità evangelica, spendendo stupendamente i talenti ricevuti da Dio.
È un Medico, che ha fatto della professione una palestra di apostolato, una missione di carità, uno strumento di elevazione di se, e di conquista degli altri a Cristo salvatore.
È un Professore d’Università, che ha lasciato tra i suoi alunni una scia di profonda ammirazione non solo per l’altissima dottrina, ma anche e specialmente per l’esempio di dirittura morale, di limpidezza interiore, di dedizione assoluta data dalla Cattedra!
È un Scienziato d’alta scuola, noto per i suoi contributi scientifici di livello internazionale, per le pubblicazioni e i viaggi, per le diagnosi illuminante e sicure, per gli interventi arditi e precorritori!
La figura del Professor Moscati conferma che la vocazione alla santità è per tutti, anzi è possibile a tutti.
E la Chiesa non si stanca di ripetere questo invito nel corso dei secoli, e ancora l’ha ribadito fermamente a noi uomini del XX secolo".
Dopo aver ricordato l’insegnamento del Concilio (Lumen Gentium, 40), prosegue dicendo:
"É questo il punto fermo, che certamente sarà da ricordare, a conclusione dell’Anno Santo - che è stato ed è tutto un solenne invito alla santità e alla riconciliazione con Dio e con i fratelli - e a coronamento dei vari Beati e Santi, i cui esempi ci hanno allietato, confusi, spronati, entusiasmati, nel conoscerli, nell’esaltarli, nel venerarli.
La vita cristiana deve e può essere vissuta in santità!".
Anche noi, su queste parole del Santo Padre, concludiamo questo cammino sulle orme dei Beati e Santi elevati agli onori degli altari nell’Anno Santo 1975.
(Autore: Don Marco Grenci - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuseppe Moscati, pregate per noi.

*Santi Lusore e Leucadio (16 novembre)  

Martirologio Romano: A Dol nel territorio di Bourges in Francia, commemorazione dei Santi Leucádio e Lusóre: il primo, senatore delle Gallie, ancora pagano, accolse i primi predicatori della fede cristiana a Bourges e fece in questo villaggio della sua casa una chiesa; l’altro, suo figlio, si dice abbia lasciato questo mondo indossando la veste bianca dei neofiti.
A Déols, sobborgo di Chateauroux (Indre), un bel sarcofago di marmo, per quanto con motivi ornamentali schiettamente pagani, è servito come punto di partenza per stabilire il culto di San Lusore. Gregorio di Tours riferisce che lo si diceva figlio di Leocadio, nobile senatore della provincia romana di Lione, il quale aveva fatto dono a Sant'Ursino, primo vescovo di Bourges, dei beni da lui posseduti in quella regione. Queste brevi indicazioni, trascurate per molto tempo, vennero amplificate ed esagerate alla fine del Medio-Evo.
Si è anche pensato che Leocadio fosse stato sepolto anch’egli a Déols in un altro sarcofago, andato in rovina nel XVIII sec. e ricostituito nel 1862 sulla base di alcuni frammenti.
Sempre secondo Gregorio di Tours, Lusore sarebbe morto in Albis, nell’abito dei catecumeni; lo si considerava quindi come puer e in tal modo è designato nel Martirologio Geronimiano al 1° novembre, mentre in altri libri liturgici di Bourges lo si pone al giorno 4.
Una vita del XII sec. di cui si possiede soltanto un riassunto nella Histoire des princes de Deols, di Jean de la Gogue, fa vescovo ausiliario di Sant'Ursino, certamente a causa di una confusione che si ritrova in alcuni manoscritti del Martirologio di Usuardo, dove pueri è stato sostituito con episcopi.
La tomba di San Lusore é stata meta di pellegrinaggio almeno fin dai tempi merovingi, come testimoniano, oltre che Gregorio, anche i graffiti del sarcofago; tuttavia la chiesa a lui dedicata ha cambiato il suo patronato con quello di Santo Stefano.
Oggi, soltanto la parrocchia di Augy-sur-Aubois lo ha  come titolare. Nel Proprio di Bourges Lusore è commemorato il 16 novembre e Leocadio il 23.
(Autore: Gerard Mathon - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santi Lusore e Leucadio, pregate per noi.

*Santa Margherita di Scozia - Regina e Vedova (16 novembre)  

Ungheria, circa 1046 - Edimburgo, Scozia, 16 novembre 1093
Figlia di Edoardo, re inglese in esilio per sfuggire all'usurpatore Canuto, Margherita nacque in Ungheria intorno al 1046. Sua madre, Agata, discendeva dal santo re magiaro Stefano. Quando aveva nove anni suo padre potè tornare sul trono; ma presto dovette fuggire ancora, questa volta in Scozia.
E qui Margherita a 24 anni fu sposa del re Malcom III, da cui ebbe sei figli maschi e due femmine. Il Messale romano la descrive come «modello di madre e di regina per bontà e saggezza».
Si racconta che il re non sapesse leggere e avesse un grande rispetto per questa moglie istruita: baciava i libri di preghiera che la vedeva leggere con devozione. Caritatevole verso i poveri, gli orfani, i malati, li assisteva personalmente e invitava Malcom III a fare altrettanto.
Già gravemente ammalata ricevette la notizia dell'uccisione del marito e del figlio maggiore nella battaglia di Alnwick: disse di offrire questa sofferenza come riparazione dei propri peccati. Morì a Edimburgo il 16 novembre 1093. (Avvenire)
Etimologia: Margherita = perla, dal greco e latino
Martirologio Romano: Santa Margherita, che, nata in Ungheria e sposata con Malcolm III re di Scozia, diede al mondo otto figli e si adoperò molto per il bene del suo regno e della Chiesa, unendo alla preghiera e ai digiuni la generosità verso i poveri e offrendo, così, un fulgido esempio di ottima moglie, madre e regina.
Nel suo celebre quadro, rappresentante il Paradiso, il Beato Angelico pose fra molti frati, anche un Re e una
Regina, volendo significare che la corona reale può unirsi felicemente all'aureola della santità.
La Santa di oggi fu infatti Regina di Scozia, e Regina abbastanza fortunata, fatto insolito questo, perché le altre coronate, si santificarono quasi sempre attraverso la disgrazia, l'umiliazione e l'infelicità.
Molte sono le Margherite di sangue reale iscritte nel Calendario cristiano: Margherita figlia del Re di Lorena, benedettina del XIII secolo; Margherita figlia del Re d'Ungheria, domenicana dello stesso secolo; Margherita figlia del Re di Baviera, vedova del XIV secolo; Margherita di Lorena, allevata come figlia del Re Renato d'Angiò; alle quali si potrebbero aggiungere Margherita dei Duchi di Savoia e Margherita dei Conti Colonna.
Quella di oggi nacque nel 1046, nipote di Edmondo 11, detto Fianchi di Ferro, e figlia di Edoardo, rifugiatosi in terra straniera per sfuggire a Canuto, usurpatore del trono d'Inghilterra.
Sua madre, Agata, sorella della Regina d'Ungheria, discendeva dal Re Santo Stefano.
Morto l'usurpatore Canuto, Edoardo poteva tornare in Inghilterra, quando Margherita non aveva che 9 anni, ma dopo qualche tempo, la famiglia reale dovette fuggire ancora, in Scozia, dove il Re Malcom III chiese la mano di Margherita, che a ventiquattro anni s'assideva così sul trono di Scozia.
Ebbe sei figli maschi e due femmine, che educò amorosamente e che non le diedero mai nessun dolore.
Suo marito non era né malvagio né violento, soltanto un po' rude e ignorante. Non sapeva leggere, ed aveva un grande rispetto per la moglie istruita.
Baciava i libri di preghiera che le vedeva leggere con devozione; chiedeva costantemente il suo consiglio. Ella non insuperbì per questo.
Si mantenne discreta, rispettosa e modesta. E caritatevole verso i poveri, gli orfani, i malati, che assisteva e faceva assistere al Re.
Per la Scozia non corsero mai anni migliori di quelli passati sotto il governo veramente cristiano di Malcom III e di Margherita, la quale, benvoluta dai sudditi, amata dal marito, venerata dai figli, dedicava tutta la sua vita al bene della sua anima e al benessere degli altri.
Non avendo dolori propri, cercò di lenire quelli degli altri; non avendo disgrazie familiari o dinastiche, cercò di soccorrere gli altri disgraziati, non conoscendo né, miseria né mortificazioni, cercò di consolare i miseri e gli umiliati.
E accolse con animo lieto l'unica brutta notizia, che le giunse sul letto di morte.
Il marito ed un figlio erano caduti combattendo in una spedizione contro Guglielmo detto il Rosso.
A chi, con cautela, cercava di attenuare la crudeltà della notizia, Margherita fece capire di averla già avuta.
E ringraziò Dio di quel dolore che le sarebbe servito a scuotere, nelle ultime ore, i peccati di tutta la vita.
Ciò non significava disamore e insensibilità verso il marito e il figlio morti.
Ella sperava, anzi ne era certa, di riunirsi a loro, dopo quel doloroso passo, oltre la porta della morte, nella luce della Redenzione.

(Fonte: Archivio Parrocchia)

Giaculatoria - Santa Margherita di Scozia, pregate per noi.

*Sant'Otmaro di San Gallo - Abate (16 novembre)  
689 - 16 novembre 759

Martirologio Romano: Nel territorio dell’odierna Svizzera, sant’Otmaro, abate, che nel luogo della cella costruita da san Gallo fondò un piccolo lebbrosario e un monastero sotto l’osservanza della regola di San Benedetto e, per averne difeso i diritti, fu poi deportato dai potenti vicini nell’isola di Werden sul Reno, dove morì esule.
Su questo secondo fondatore dell'abbazia di San Gallo si conservano numerose fonti storiche antiche che illustrano sufficientemente la sua opera: documenti contemporanei esistenti nell'archivio dell'antica abbazia e inoltre, In Vita San Otmari, scritti da Gozberto verso l'830 e rielaborata da Valafrido Stribone tra l'834 e l'838, la Relatio de miraculis, scritta di Isone tra l'864 e 867; infine molte indicizioni si trovano nel secondo libro della Vita San Galli, di Valafrido e nei Casus San Galli, scritti da Ratperto nel sec. IX.
Secondo questi documenti Otmaro, un alemanno della regione del lago di Costanza, nacque verso il 689 e fu educato nella corte del governatore Vittore a Coira (Curia Raetorum) dove fu ordinato sacerdote e prese la direzione della chiesa di San Forino, il conte Waltram lo chiamò nel 719 a S. Gallo, dove il santo irlandese Gallo aveva fondato un romitorio nel 612 e Otmaro vi costruì un monastero di cenobiti che dovevano sostituire gli antichi anacoreti.
Il Liber Professionum conservato sino ad oggi ci trasmette i nomi di cinquantatre monaci del suo tempo. Da tutta l'Alemagna furono fatte allora al monastero ricche donazioni, di cui si conservano ancora i documenti originali.
L'abate Otmaro esercitò con i suoi monaci la povertà, la pazienza, la fedeltà alla regola di s. Benedetto introdotta nel 747 in luogo dell'antica regola irlandese o di carattere misto e, inoltre, si distinse nella beneficenza verso i poveri e per lo spirito di sacrificio nel curare i malati. Eresse un albergo per i poveri e uno speciale ospedale per i lebbrosi, che volle curare personalmente. Il monastero diventò cosí un centro religioso e civile del ducato dell'Alemagna.
Ma questo attirò su Otmaro il malvolere del re franco, Pipino, che voleva distruggere l'indipendenza della provincia, e l'invidia dei commissari franchi Warino e Rutardo. Inoltre il vescovo di Costanza Sidonio avanzò ingiuste pretese di possesso sul monastero per sé e per la sua diocesi.
Questi nemici indussero l'infedele monaco Lamperto a rendere una falsa testimonianza, accusando il suo abate, che per quaranta anni aveva retto gloriosamente il monastero, di aver commesso adulterio. Otmaro fu perciò condannato in giudizio a morire di fame e infine esiliato nella piccola isola di Werd sul Reno, dove morì all'età di settant'anni, il 16 novembre 759, in completa solitudine.
Dieci anni dopo i monaci riportarono le sue spoglie nel monastero di San Gallo, dove nel 764 fu canonizzato dal vescovo Salomone I di Costanza. Nell'867 ebbe luogo la sua traslazione al tempio eretto in suo onore presso la chiesa abbaziale di San Gallo e fin da allora incominciò il culto pubblico che si sviluppò in tutta l'Europa centrale. Il santo è venerato come patrono di ottantaquattro chiese e si conservano numerose copie della sua Vita e importanti rappresentazioni artistiche.
Quale secondo fondatore di San Gallo, insieme allo stesso Gallo, è venerato come patrono aeque principalis dell'antica abbazia e dell'attuale diocesi, dove si celebra la sua festa il 16 novembre, data della morte. E' invocato, inoltre, come patrono degli ammalati (specialmente bambini), dei calunniati e della Chiesa del silenzio.
Nell'iconografia viene rappresentato con gli attributi episcopali e con un fiaschetto di vino che ricorda un racconto della Vita: quando i monaci portarono le sue spoglie verso San Gallo, attraverso il lago di Costanza, il vino che avevano per rinfrancarsi sarebbe miracolosamente aumentato.
Autore: Johannes Duft

Giaculatoria - Sant'Otmaro di San Gallo, pregate per noi.

*Beato Simeone - Abate di Cava (16 novembre)
Cava dei Tirreni, † 16 novembre 1140
Patronato:
Castellabate

Martirologio Romano: Nel monastero di Cava de’ Tirreni in Campania, Beato Simeone, abate.
Le notizie di questo degno abate dell’Abbazia della Trinità di Cava dei Tirreni, ci provengono da varie fonti tutte autorevoli, qualcuna contemporanea, tra le quali il ‘Kalendarium’ del 1280 che segna il giorno della sua morte ed è la prima testimonianza del culto tributatogli.
Simeone fu il quarto abate di Cava, di quella celebre ed importantissima abbazia fondata da Sant'Alferio nel 1020 ca., e fu il primo degli abati cavensi ad essere eletto dai monaci nel 1124, mentre gli altri erano stati designati dai loro predecessori.
Altri documenti, testimoniano la sua presenza fin dal 1105 come semplice monaco nel disbrigo di affari; risulta primo priore, dal 1109 al 1113, del ricostruito monastero di Santa Sofia in Salerno, che era stato donato nel 1100 alla Badia; ancora lo si trova come priore dell’importante monastero di Sant'Arcangelo nel Cilento nel 1119 e 1120.
Simeone governò in un’epoca divenuta difficile sul piano politico-religioso, a causa delle lotte tra i Normanni e il Papato, svolse il suo compito in modo encomiabile, tale da suscitare la stima dei due poteri, ricevendo come altri abati di Cava, feudi, beni e privilegi che fecero grande e potente la Badia.
Prima di prendere importanti decisioni, si consultava con i "seniori" che lo seguivano pure nelle visite ai monasteri e feudi dipendenti dall’abbazia. Per difendere le popolazioni, soggette al
potere dell’abbazia, dalle incursioni saracene, portò a completamento la costruzione del castello di Sant'Angelo (oggi Castellabate nel Cilento), iniziata qualche mese prima dal suo predecessore San Costabile (1123-24); in seguito agli abitanti di Castellabate concesse la proprietà delle terre con le loro case, riducendo anche le prestazioni dovute all’abbazia, comprò anche il porto ‘Lu Traversu’ dal conte di Acerno, per facilitare il commercio ed il traffico nella zona.
Il re di Sicilia Ruggiero II, i principi di Salerno, i vescovi e signori feudali, lo tennero in gran conto, concedendo esenzioni e privilegi, come pure i papi Anacleto II e Innocenzo II.
Governò per 16 anni e morì il 16 novembre 1140; fu sepolto nella grotta ‘Arsicia’ vicino agli altri abati e al fondatore; le sue reliquie furono varie volte riesumate e deposte nella bella ed artistica chiesa abbaziale in vari posti; finché dopo il 18 maggio 1928, data in cui fu confermato il culto del beato Simeone, da parte del papa Pio XI, le reliquie vennero deposte definitivamente sotto l’altare di San Benedetto.
Il 6 aprile 1963 fu proclamato patrono secondario di Castellabate; la sua festa si celebra il 16 novembre.
(Autore: Antonio Borrelli - Monastero di Cava de’ Tirreni in Campania, Beato Simeone, abate).

Giaculatoria - Beato Simeone, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (16 novembre)
*
San Giuseppe Moscati - Laico
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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